venerdì 31 maggio 2019

DIARIO


L'AMORE AI TEMPI DELL'ASILO


 Frequentavo l'asilo della Scuola Laetitia per il secondo anno di seguito. Lo odiavo ma almeno quell'anno, a rallegrarmi c'era la presenza di Salvatore, di cui mi ero innamorata.
 Mi dispiace non ricordarmi come arrivai a provare questi sentimenti, nè come fosse il nostro rapporto nè come giocassimo insieme. Ricordo solo un piccolo episodio. Era l'ora della merenda. Come d'uso, trattandosi di un asilo di tipo Montessori, sedevamo per mangiare a dei piccoli tavolini rotondi, sulle nostre sediette, le nostre tovagliette ecc. Ricordo che mio fratellino Pierino era rimasto in piedi e piangeva non sapendo dove sedersi: la vita a due anni non è facile. Io però di anni ne avevo tre e potevo aiutarlo. Perciò l'avevo preso per mano e avevo cominciato a girare fra i tavolini per trovargli un posto libero.
 In effetti ce n'era uno vicino a Salvatore, al quale domandai: ''Può sedersi qui mio fratellino?''. La risposta fu: ''Vicino a me puoi sederti tu, tuo fratellino invece non lo voglio.'' Non ricordo come proseguì il pellegrinaggio fra i tavolini. Ricordo invece benissimo che la risposta di Salvatore mi rimase impressa come una sorta di conferma che eravamo fidanzati, anzichè come conferma che avevo a che fare con un piccolo stronzo.
L'anno successivo, il primo giorno di asilo mi guardai intorno cercando Salvatore. Non vedendolo da nessuna parte chiesi alla maestra dove fosse. Lei mi rispose: ''Eehh, Salvatore ormai è grande! E' in prima elementare!''.
 Aspettai con ansia l'ora della ricreazione: benchè il giardino della scuola fosse simbolicamente diviso in due da una lunga siepe (metà per i bambini dell'asilo, metà per i ragazzini delle elementari), sapevo che la porta da cui sarebbero usciti ''i grandi'' era nella nostra metà di giardino. Ed ero lì quando Salvatore uscì chiassosamente col resto della sua classe. Quando mi avvicinai tutta contenta di rivederlo, lui mi girò le spalle sdegnosamente e corse via con i compagni.
Vi potrà sembrare esagerato, ma fu una lezione di vita che unitamente ad altri fattori, mi rimase come una sorta di imprinting. Un imprinting negativo: non è vero che tutte le esperienze siano positive proprio in quanto esperienze.
La cosa peggiore fu che, nonostante in seguito abbia capito perfettamente che non ero io ad essere inadeguata, bensì Salvatore (che davanti ai compagni si vergognava di avere un'amichetta troppo piccola), ho comunque continuato a scegliermi fino a tarda età, uomini di scarso spessore sentimentale. Tanti Salvatori, insomma.

FINE

lunedì 18 febbraio 2019

DIARIO


        LA MALEDIZIONE DEGLI ELETTRODOMESTICI



E' cosa nota, non credo che capiti solo a me. Penso che, più che una maledizione, si tratti di una vera e propria legge di fisica che non so se sia mai stata studiata a fondo; nel caso non sia mai stato fatto, vorrei segnalarla a chi di dovere. Magari ci sono metodi per prevenire. Dacchè sono sposata e ho una casa da gestire, sono stata colpita da questa sorta di condanna non meno di una dozzina di volte: SE VI SI GUASTA UN ELETTRODOMESTICO POTETE ESSERE CERTI CHE NEL GIRO DI UN PAIO DI GIORNI SE NE GUASTERANNO ALMENO ALTRI DUE.
La mia serie nera è cominciata giovedi con un fischio come di pentola a pressione che aveva difficoltà a sfiatare, ossia come di qualcosa che sta per esplodere. Si trattava dell'apparecchio che in cucina produce l'acqua filtrata. Spento immediatamente e chiamato il tecnico.
Si è proseguito venerdi con un laghetto sotto la macchinetta del caffè che poco dopo è andata in corto. Essendo incapace geneticamente di preparare un caffè bevibile, è un oggetto che mi è indispensabile. Nemmeno possiedo più del caffè in casa che non sia in capsule. In citta nessuno la aggiusta (bisognerebbe spedirla alla casa madre) quindi mio marito è corso a comprarne una nuova. Disgraziatamente l'allaccio era differente, e ha dovuto modificare la spina e non so che altro. La presa di corrente è nascosta dietro il frigidè, che è quind stato spostato in mezzo alla cucina, dopo aver tolto tutto ciò che c'era sopra (oggetti, tegami, narghilè e quant'altro sistemati qua e là sul pavimento e sul tavolo). Inutile dirvi che dietro il frigidè c'era un mondo che voi umani...
In questo frangente è arrivato anche il tecnico dell'apparecchio per filtrare l'acqua (lo aspettavamo per lunedi) che ha piazzato in cucina la scala a pioli e liberato il ripiano dei miei libri di cucina che nascondevano l'apparecchio. Anche i libri sono finiti sul pavimento e sulle sedie. Io nel frattempo stavo preparando la cena per gli ospiti che aspettavo per l'indomani, ed ero in preda ad un attacco isterico che ha intimorito il tecnico.
Sistemati sia il filtro dell'acqua che la macchinetta del caffè, ci siamo resi conto che lo spostamento non aveva giovato al frigidè al quale non si chiudeva più la porta. Mio marito ha dovuto smontare un pezzo della base per poterlo chiudere, ma non è più riuscito a rimetterlo. Ora siamo in attesa del tecnico.
Nel frattempo la lavapiatti ha incominciato a rumoreggiare come se fosse in funzione. Ma era spenta, e persino con lo sportello aperto...Boh, l'unico modo per zittirla è stato staccare la spina. Siamo in attesa del tecnico.
A metà sera si è allagata la cucina. Ho impiegato parecchio a capire che l'acqua usciva da sotto la lavapiatti, il che spiegava come mai era andata in corto mettendosi a funzionare da spenta. Una buona notizia: l'acqua ha smesso da sola di fuoriuscire dopo un tot di litri. La notizia un po' meno buona è che per la cena di sabato (ieri) erano previste sei portate, ciascuna con cambio di piatto, tre vini più l'aperitivo e gli amari, ossia cinque bicchieri a testa, e innumerevoli altre cose tra tazzine, posate, piatti da portata e tegami, tutto da lavare a mano.
Non è stato nè bello nè istruttivo

giovedì 12 luglio 2018




LE PREFERENZE DEI LETTORI DEL BLOG


I bloggers hanno a disposizione una serie di strumenti per controllare l'andamento del loro blog, la nazionalità, l'età, le preferenze del loro pubblico ecc. Le statistiche vengono costantemente controllate: quante visualizzazioni ho ricevuto oggi? quante ieri? quante nel mese corrente? quale post è piaciuto di più e quale di meno? Si raccolgono così una serie di dati che dovrebbero consentire al blogger di raggiungere più persone possibile.
Ora, c'è da dire che il mio blog non ha mai raggiunto grandi numeri. Per avere un folto pubblico dovrei necessariamente specializzarmi in un unico campo. Io parlo di tutto un po', e questo mantenermi generica non mi consente di avere un target specifico. Perciò questo blog non farà mai grandi numeri, nè sarà mai infarcito di pubblicità.

 Tuttavia per pura curiosità, le statistiche le controllo anche io. E mi lasciano perplessa. 
Non dovendo guadagnarci sopra alcunchè, sono libera di trattare gli argomenti che più mi piacciono. Chi ha i miei stessi interessi li troverà interessanti, ma è più probabile che i lettori trovino interessante un certo genere di argomento piuttosto che un altro.
A questo punto, osservando quali sono i post che maggiormente sono piaciuti, rimango veramente basita: c'è un articolo che ha letteralmente stracciato tutti gli altri, sia nelle statistiche giornaliere che in quelle che calcolano le visualizzazioni totali fin dalla nascita del blog. Il post che ha avuto, e che quotidianamente ha, a tutt'oggi, il numero più alto di visualizzazioni è sempre lo stesso. E francamente io non ne comprendo il motivo.

 Ho scritto di argomenti più originali, più interessanti e più importanti, ma tutti finiscono per leggere sempre quello: un argomento degno dei rotocalchi degli anni '60, tipo ''Gente'' e ''Oggi'', quando gli articoli erano in gran parte incentrati sulle case regnanti e sui flirt dei divi del cinema. 
Si tratta infatti del post intitolato 'Le tre mogli dello scià di Persia'. Un po' demodé, non vi pare? 
Sempre nelle statistiche del blog posso vedere quali parole chiave sono state maggiormente cercate su internet per approdare al mio blog. Facile: prima fra tutte ''Farah Diba'', seconda ''Marylin Monroe nella bara'' (!), terza ''Soraya principessa triste''.
Le visualizzazioni di questo particolare post sono all'incirca superiori di almeno il 500% rispetto a quelle degli altri, fatta eccezione per un post sulle foto post mortem (ma questo, per la sua morbosità, non fa meraviglia) che comunque si distacca per svariate migliaia. Tutti gli altri, che siano a tema storico, artistico, gastronomico o quant'altro, si attestano largamente al di sotto. Inoltre, per la struttura stessa del blog, la preferenza diventa autoalimentante. Infatti a fianco al testo degli articoli vi è la sezione 'Post più popolari', dove le tre mogli campeggiano per prime, e quindi vengono ulteriormente cliccate. E confesso che la cosa, oltre a risultarmi incomprensibile, persino mi infastidisce.
Perchè mi infastidisce? Perchè non capisco, e nemmeno condivido. Ho scritto cose più interessanti, che diamine!
FINE

sabato 7 luglio 2018





IL CIBO E LA MODA


La moda ci governa in qualsiasi campo, persino a tavola. Quando si tratta di abbigliamento, la ciclicità della moda è annuale o poco più. Quando si tratta di cibo invece la moda ha un ciclo più lungo, vent'anni all'incirca. Oggi nessun cuoco o gastronomo o critico troverebbe accettabili certi piatti che erano in voga all'inizio di questo secolo. Al massimo potrebbero accettarli se rivisitati, rinnovati, ''destrutturati'' ecc. La logica vorrebbe che ciascuno mangi ciò che più gli piace, eppure sembra che anche in questo campo ci si debba far condizionare, adeguarsi alle novità, essere originali, informati e ''avanti'' ad ogni costo. Ricordo nel 1980, appena sposata, le mie prime cene per gli amici: avevo cercato di servire come digestivo, a fine pasto, un limoncello fatto da mia suocera. Il limoncello non era ancora di moda, non lo conoscevano, il sapore era forte, non l'avevano gradito. Pochi anni dopo una cena senza limoncello o mirto finale non sarebbe stata considerata cena conclusa. Gli stessi amici che qualche anno prima l'avevano rifiutato se lo sono fatto piacere in seguito, non appena la moda lo ha consentito. Trovo il fenomeno molto curioso.
Negli anni '60-'70 si usavano molto, come stuzzichini, grandi vassoi di tartine. 




Un dispendio pazzesco di tempo ed energie per qualcosina che poi scompariva in un boccone. 

















  Giustamente oggi le tartine sono state rimpiazzate da tramezzini e altre piccole cose più consistenti.













 L'antipasto ''all'italiana'', servito nelle antipastiere di vetro, regalo di nozze imprescindibile, era costituito da riccioli di burro, carciofini sott'olio, giardiniera, affettati, olive, tutto distribuito nei vari settori. Oggi è considerato il massimo della noia.








Grande raffinatezza era l'aggiunta del ''turbante'' di prosciutto: le fette venivano poggiate su una forma di budino capovolta.












Fra gli antipasti sono ormai demodé anche le ottime uova sode farcite di tonno e maionese e gli altrettanto ottimi pomodori ripieni di insalata russa. Soprattutto sono demodé se guarniti con maionese strizzata dal tubetto con bocchetta a stella e guarniti con i capperi.


















Dopo il tramonto dell'antipasto all'italiana vennero fuori due novità di grande successo:

Uno era il cocktail di gamberi (gamberi lessi serviti in coppa con salsa cocktail, ossia maionese più ketchup) che furoreggiò per molti anni.


L'altro era il pompelmo, servito così, nudo e crudo, con l'apposito cucchiaino seghettato.
Il pompelmo in quegli anni godeva di un'immeritata fama di frutto ''dimagrante'': tutto ciò che si mangiava dopo il pompelmo veniva ''bruciato'' misteriosamente e non assorbito (!).


Nello stesso periodo (anni '70) ci fu un'inflazione di uova di lompo come succedaneo del caviale, sia a guarnire le famose tartine, sia (ahimè) sugli spaghetti.
Altro prodotto di mare raffinato, costoso e frequentissimo fu il salmone affumicato.

Ecco le farfalle al salmone, un must che aveva, e ha tuttora, il vantaggio di essere un piatto veloce e facile. Assicuravano un'ottima figura ma purtroppo, oltre alla panna, c'era fra gli ingredienti il tocco originale della vodka. Se si era fortunati e si trovava la vodka azzurra, si poteva essere più originali ancora...



Risale a quegli anni l'onnipresenza della panna, la quale imperversò talmente tanto che nel decennio successivo finì per essere demonizzata. Oggi, se uno chef si facesse sorprendere a farne uso decreterebbe la sua condanna al pubblico ludibrio. Peccato, perchè è un bellissimo ingrediente.













Comparvero i geniali tortellini alla panna (oggi non azzardatevi a servirli a chiunque appena appena se la tiri) e le squisite 4P: penne, panna, piselli, prosciutto.
Sempre per colpa della panna è passato immeritatamente di moda anche il filetto al pepe verde.


Il risotto alle fragole invece, di finire nel dimenticatoio se lo meritava proprio.


Dopo che la panna è tramontata senza possibilità di appello, è arrivata la rucola. Anch'essa ha avuto un gran successo e se ne è abusato. Quando ogni cosa ha cominciato ad essere servita ''su un letto di rucola'', l'espressione è passata a indicare un cuoco privo di inventiva. I gamberetti su letto di rucola, il carpaccio con rucola e scaglie di grana e tante altre cose buone hanno avuto il loro decennio di gloria e poi sono diventate sorpassate. Come se avessero cambiato sapore...mah!




Si comprende invece benissimo come mai il sufflé sia scomparso dalle tavole italiane, e anche dai ristoranti: è l'unica pietanza che deve ''far aspettare gli ospiti'', cioè da portare in tavola appena uscita dal forno, prima che si sgonfi. Quindi se la padrona di casa non ha qualcuno in cucina che ne sorvegli la cottura e che lo serva in tavola appena sfornato, difficilmente si impegnerà nell'impresa. 
Ma perchè invece è passato di moda il comodissimo e buonissimo vitel tonné, così gradevole nella stagione estiva? Oggi è finito declassato a piatto da asporto o da pic-nic.
 













Altri piatti che non si vedono più sono quelli che venivano chiamati ''in bellavista''. Alcuni sono effettivamente troppo impegnativi, e nessuno ha tempo e voglia di prepararli.

 



Lasciamo perdere la famosa Aragosta in bellavista, ma un pesce ben guarnito pare che non si usi più presentarlo.
Un aspic era un piatto che qualsiasi casalinga degli anni '50 era perfettamente in grado di presentare. Oggi non lo fa quasi nessuno.

E anche l'insalata russa guarnita non si vede più. Si preferiscono piatti più semplici con presentazioni (accuratamente) casual.

A Parigi negli anni '80 in Place de La Madeleine vidi una vetrina del famoso Fauchon dove facevano bella mostra degli spettacolari tacchini freddi guarniti. Questo qui sotto è una pallida imitazione preparata da me. Noterete come l'aspetto sia kitsch e demodé. Oggi Fauchon lo presenterebbe ben diversamente.


Ed ecco qui sotto, una zuppa inglese con la sua meringa, così come dovrebbe essere, sontuosa e barocca.



Mentre è più facile che oggi la troviate presentata così, più semplice e senza canditi, per via del dilagante odio verso questi ultimi.



Per quanto riguarda il bere, il nostro palato oggi è più educato rispetto al secolo scorso. Altrimenti non si comprenderebbe il successo che negli anni '70 e '80 ebbero alcuni vini portoghesi che orgogliosamente venivano serviti in tavola o portati come omaggio quando si era invitati: il Mateus rosé e il Lancers bianco o rosé.
Erano abbastanza economici, eppure considerati eleganti. Comunque erano vini freschi, facili, che piacevano a tutti. Riassaggiati oggi sono appena un gradino più su della gazosa.




















Concludo con ciò che in genere chiude una cena: gli amari. Oggi gli amari non sono tanto amari, ma negli anni '70 erano davvero amarissimi. Li si beveva con un certo sforzo, nella bovina convinzione che più erano amari e più erano digestivi.
 ''L'amarissimo che fa benissimo'' recitava lo slogan del Petrus, mentre si vedeva un pugno ferrato che si abbatteva su un tavolo, perchè erano così amari che per berli bisognava essere uomini duri e forti: lo spot pubblicitario parlava di guerrieri, di battaglie e quant'altro. 




Oltre al Petrus vi erano anche Unicum, Jagermeister, Fernet ecc. altrettanto feroci nel gusto. Quando la moda è passata hanno tutti tirato un sospiro di sollievo, credo, tornando ad amari più morbidi e aromatici, e aggiungendo anche il mirto e il famoso limoncello (quello sdegnosamente rifiutato anni prima).

Rimane dunque il mistero di come mai ci si faccia condizionare dalla moda in un campo, il cibo, che dovrebbe essere governato dal piacere e dai gusti personali. Capisco chi è del mestiere, uno chef che deve essere originale e creativo a tutti i costi, ma a noialtri, chi ce lo fa fare? .


FINE

mercoledì 15 novembre 2017




IL CIBO NELLE FIABE


Schiaccianoci e il re dei topi (Hoffman)

Le fiabe nacquero secoli e secoli fa, quando la vita era durissima quasi per tutti, in particolare negli ambienti contadini: secoli bui di carestie, pestilenze e soprusi. Non è infatti un caso che quasi tutte le fiabe parlino di cibo o di fame. In molte di esse si affaccia addirittura lo spettro del cannibalismo, attribuito in genere a orchi e streghe (ma, nella realtà, probabilmente praticato davvero nelle plaghe più nascoste e isolate, in situazioni di grave necessità).

 Questo avviene per esempio nella fiaba de La Bella Addormentata nel Bosco di Perrault dove, nella seconda parte molto spesso 'espurgata', dopo il risveglio della principessa e il matrimonio col principe, la madre del principe si rivela essere un'orchessa. Essa, approfittando di un'assenza del figlio, chiede al proprio cuoco di mangiare ''in salsa Robert'' dapprima la nipotina, frutto della giovane coppia, poi il nipotino, e infine la stessa principessa. Il cuoco impietosito le farà servire di volta in volta un agnello, un capriolo e una cerva, nascondendo le vittime designate, fino al ritorno del principe e alla punizione e morte dell'orchessa.




Apro una parentesi per dirvi come si prepara la salsa Robert, un classico della grande cucina francese. Fa parte delle salse derivate dalle ''salse madri''. Queste salse nacquero alla fine del '600, l'epoca appunto in cui Perrault raccolse e scrisse le sue fiabe.

Salsa Robert (per arrosti):
Basta partire da una salsa demi-glace, mescolarla con due cucchiai di cipolla già rosolata nel burro e deglassata con mezzo bicchiere di vino bianco ben ridotto. Far bollire tutto e fuori dal fuoco unire senape bruna. Come dite? Non avete in frigo la salsa demi-glace? Be', in tal caso potete prepararla prima: è sufficiente prendere della salsa spagnola (una delle famose ''salse madri''), farla ridurre a fuoco moderato e poi unirvi estratto di carne e vino Marsala secco. Come? In frigo non avete pronta neanche la salsa spagnola? Allora prima dovete prepararla: fate un soffritto di cipolla, carota, sedano e prosciutto con burro, timo e alloro. Portate a cottura e aggiungete 1/2 litro di sugo di carne e continuate a cuocere per circa 4h. Addesate con un roux bruno e filtrate. Avrete così la salsa spagnola che è il punto di partenza. Come? Non avete mezzo litro di sugo di carne? Ripiegate sulla salsa barbecue, che sugli arrosti ci sta benone.


Tornando al cannibalismo, la stessa cosa accade in Biancaneve (Fratelli Grimm): la matrigna (che in realtà non è una strega, ma solo molto crudele) incarica il guardiacaccia di portare Biancaneve nel bosco, ucciderla e riportarle come prova il fegato e i polmoni. Anche in questo caso il guardiacaccia impietosito lascia andare Biacaneve e porta alla regina fegato e polmoni di un cinghiale, che la regina si mangia con grande soddisfazione arrostiti.










G. Doré: la moglie dell'orco sfama il marito affinchè non uccida subito i bambini


In Pollicino (Perrault) i sette fratellini (abbandonati nel bosco dai genitori che non possono più sfamarli) finiscono nella casa di un orco che vuole ucciderli per allestire un pranzo per sè e per un paio di amici, orchi anche loro. 








G. Doré: L'orco per errore uccide le sue sette figlie.



Similmente a Pollicino, anche Hansel e Gretel vengono abbandonati nel bosco a cagione della carestia, e approdano alla casa di una strega, tutta fatta di cose da mangiare. E' curioso come, nelle versioni italiane, la casetta venga definita alle volte di cioccolata, alle volte di marzapane o di pampepato. Gli illustratori si sono sempre sbizzarriti nel disegnarla, facendola appettitosa, multicolore, ricoperta di biscotti e caramelle. In genere si tratta delle illustrazioni più attraenti fra quelle del mondo delle fiabe classiche. Invece la versione originale dei fratelli Grimm parla semplicemente di casa fatta di pane, con il tetto fatto di ''Kuchen'', termine un po' generico che indica una focaccia o una torta, e i vetri delle finestre fatti di zucchero sottile.

 

Scott Gustavsson
A proposito di questa fiaba, Georg Osseg, una sorta di archeologo, negli anni '60 dello scorso secolo compì una serie di indagini molto particolareggiate. Nella prima trascrizione fatta dai Grimm riconobbe un particolare dialetto tedesco. Credette dunque di identificare la zona dove la fiaba era nata, addirittura il bosco dove si diceva avesse abitato una strega. Osseg fece degli scavi, trovò una vecchia casetta risalente al tempo della Guerra dei Trent'anni, con tre forni. Rinvenne ciò che restava del cadavere di una donna dentro uno dei forni, e persino la ricetta di un dolce. Infine nell'archivio della vicina città rinvenne anche un vecchio documento riguardante un processo di stregoneria: Katharina Schraderin, apprezzata pasticcera, forniva varie versioni di pampepato alle corti di Fulda e Magonza. L'invidioso pasticcere Hans Metzler cercò senza successo di corteggiarla per carpirle la ricetta. Infine, insieme alla sorella Greta, la denunciò per stregoneria . L'accusa era di fabbricare dolci diabolici per attrarre e uccidere gli uomini che riusciva a portarsi in casa. La presunta strega fu catturata, torturata, processata e infine assolta. Poco dopo però fece la fine della strega della fiaba: Hans e Greta Metzler la strangolarono e ne bruciarono a mezzo il cadavere. Per questo omicidio non vennero nemmeno processati. Tutta la vicenda ricca di particolari e prove, viene narrata in un interessante volumetto scritto da Alberto Mari: Il posto delle favole, per i tipi di Stampa alternativa.
La ricetta rinvenuta nel sito è stata sperimentata ottenendo in pratica il tradizionale Pampepato di Norimberga. 
(Tuttavia vi confesso che non sono sicura che la 'vera' storia di Hansel e Gretel non sia una bufala.)


Pampepato di Norimberga:
Sbattete 4 uova con 225gr di zucchero, vaniglia e un pizzico di sale fino ad ottenere un composto spumoso. Unite a cucchiaiate 250gr di farina mescolata con 1 cucchiaino colmo di lievito chimico.
Aggiungete 225gr di mandorle tritate, la buccia grattata di un limone, 90gr di cedro e arancia canditi e una punta di coltello per sorta di spezie in polvere: cardamomo, pepe, cannella, garofano. 
Spalmate il composto su ostie da pasticceria in uno strato di almeno 1cm. Potete farli del formato che preferite, ma lasciate uno spazio al bordo dell'ostia di circa 1cm, perchè il composto cuocendo si allarga. 
Infornate a 180° per circa 30'. Glassateli ancora caldi con zuccero a velo setacciato lavorato con acqua di rose
Le veriazioni sono infinite: potete usare metà mandorle metà nocciole oppure noci, potete aggiungere cacao all'impasto, glassare con cioccolato fuso e quant'altro preferite. 

Nella fiaba di Hansel e Gretel inizialmente la strega finge di essere buona. Li fa entrare e li rifocilla offrendo latte, frittelle, mele e noci. Le frittelle del testo italiano sono i 'pfannkuchen' nel testo originale tedesco, una sorta di pancakes, ma più sottili.


Pfannkuchen:
Mescolare con uno sbattitore elettrico 250gr di farina, 3 uova, 1/2 l di latte, 1/2 cucchiaino di sale, 1/2 cucchiaino di lievito vanigliato. Lasciar riposare per 20'.
Ungere leggerissimamente una padella antiaderente, scaldarla sul fornello, versarci un piccolo mestolo della pastella preparata, muovere la padella per ricoprire bene il fondo, girare il pfannkuchen con una paletta, cuocere dall'altro lato e metterlo su un piatto. Continuare sino ad esaurimento della pastella.
Rosolare velocemente delle fettine sottili di mela in una noce di burro, cospargerle di zucchero, poi usarle per farcire i pfannkuchen. Cospargere di gherigli di noce e servire.


E' frequente nelle fiabe la presenza di un camino con un paiolo. Ad indicare la sua profonda miseria, solo Geppetto ne è privo, e si è accontentato di dipingerne l'immagine sul muro. 
Il paiolo pare che venisse fatto sobbollire tutto il tempo. In effetti in tutta Europa la pentola presente anche nelle case più modeste era appunto il paiolo, dove cuoceva la zuppa. Vi si buttava dentro acqua e tutto ciò che capitava: ciò che si raccoglieva nell'orto, frutta, verdura,  torsoli, bucce, erbe raccolte nei campi, radici, bacche, avanzi scartati da famiglie più ricche quali ossa, e, se si era fortunati, anche cotenne. A fine giornata qualunque cosa ci fosse finita dentro, la lunga cottura aveva ammorbidito e amalgamato il tutto. 
Per contro nelle fiabe appaiono anche ricchi banchetti, per festeggiare matrimoni principeschi, o come premio per i personaggi più fortunati.



 Pensiamo per esempio alla fiaba de Il tavolino magico, l'asino d'oro e il randello castigamatti (Grimm): alle parole ''-Tavolo mio apparecchiati!- ecco il bravo tavolino coprirsi di una linda tovaglietta, (...) e vassoi di lesso e d'arrosto quanti ce ne potevan stare e un bicchierone di vino rosso...'' , dove l'apparizione della carne simboleggia la ricchezza.











Ugualmente ne La Bella e la Bestia (di Madame Leprince de Beaumont) l'affamato babbo di Bella, arrivato in casa della Bestia e trovando una tavola imbandita, pur con qualche rimorso si mangia un pollo arrosto in due bocconi. 






G. Doré
 In Enrichetto dal Ciuffo (Perrault) la protagonista assiste ai preparativi per le sue nozze: ''La terra si aprì in quel momento, ed ella vide sotto i suoi piedi una gran cucina piena di cuochi, sguatteri e ogni sorta di gente necessaria per allestire una grande festa. E di lì uscì fuori una schiera di venti o trenta rosticcieri, che andarono a piantarsi in un viale del bosco, intorno a una lunghissima tavola, e tutti colla ghiotta in mano e la coda di volpe dietro l'orecchio si posero a lavorare a tempo di musica...''. Anche qui la carne la fa da padrona. Per la cronaca, ciò che Carlo Collodi traduce con ''ghiotta'' (che in italiano è la leccarda che si mette sotto l'arrosto per raccoglierne i succhi) nel testo francese è ''lardoire'', ossia il ferro per bucare la carne e lardarla. Le code di volpe invece erano usate per spennellare la carne col grasso che ne colava.
Nella fiaba I Tre Cedri (dal Pentamerone di Gian Battieta Basile, in altre versioni si tratta di melarance) un principe si taglia un dito con un coltello mentre si serve di ricotta. La vista del suo sangue rosso sulla ricotta candida lo fa cadere preda del desiderio di sposare una fanciulla bianca e rossa. Avendola cercata attraversando mille paesi e tante avventure che non sto a dirvi, finalmente la trova: ''una fanciulla tenera e bianca come una giuncata, con una riga di rosso, che sembrava un prosciutto d'Abruzzo o una soppressata di Nola.''. Purtroppo la bella sposa viene sostituita da una schiava negra imbrogliona. Tuttavia si procede ugualmente ai preparativi per le nozze: ''i cuochi spennavano papere, scannavano maialini, scuoiavano caprette, lardellavano arrosti, schiumavano pignatte, trituravano polpette, farcivano capponi e preparavano mille altri ghiotti bocconi'' e disgraziatamente in questo trionfo proteico finisce anche la colombella bianca nella quale la sposa vera si era trasformata. Ciononostante, grazie ad un complicato escamotage, ella rinascerà e sposerà il principe.


Ho parlato in un altro post della fiaba La Pappa Dolce (Grimm). Il pentolino magico cuoce una specie di porridge dolce di miglio . Nella versione inglese si parla infatti esplicitamente di porridge. Facilissimo riprodurlo (non per i protagonisti della fiaba che non avevano più nulla da mangiare).



Porridge:
 Si tratta di far bollire un cereale a scelta (tritato o ridotto in fiocchi) nell'acqua o nel latte con un po' di sale. Gli inglesi usano tradizionalmente dei fiocchi d'avena. Poi si può procedere come si vuole, aggiungendo zucchero, panna, frutta fresca o secca etc. Presumibilmente nella pappa della fiaba c'era solo zucchero, e ciò era sufficiente per fare festa. 

Nella versione russa si parla di каша (kasha) e di kása in quella ungherese. 


Kasha dolce russa:
Potete usare il miglio o un altro cereale a scelta, anche riso se volete. Fatelo cuocere in abbondante acqua salata. Dopo qualche minuto di bollitura si getta via l'acqua in eccedenza e si termina di cuocere nel latte. Si condisce a piacere con burro e zucchero (talvolta si usa anche marmellata).
La kasha si usa anche come contorno per piatti di carne, in questo caso in versione salata.



Poichè non ho mai amato particolarmente la carne, ciò che nelle fiabe mi pareva più appettitoso era una parola che ricorreva spesso: focaccia. Non sapevo di preciso di che si trattasse, ma l'ho sempre genericamente immaginata come un pane dolce. In Cappuccetto Rosso (Perrault, traduzione di Carlo Collodi) la mamma dice alla bimba: ''Va' un po' a vedere come sta la tua nonna, perchè mi hanno detto che era un po' incomodata: e intanto portale questa stiacciata e questo vasetto di burro''. Perrault usa il termine ''galette'', spesso confusa con la crêpe. In questo caso appare evidente che si tratta di tutt'altro. Presumo che ciò che più si avvicina alla galette di Cappuccetto Rosso sia la galette au beurre tradizionale bretone. La ricetta è facilissima.

 Galette au beurre:
Amalgamare 3 tuorli d'uovo con 250 gr di burro a temperatura ambiente, 250gr di zucchero e un grosso pizzico di sale. Unire poco per volta 400gr di farina mescolata con un cucchiaino di lievito vanigliato.
Imburrare e infarinare uno stampo da crostata, stenderci sopra la pasta col palmo della mano. Appiattire bene e spennellare con un tuorlo d'uovo. Col manico di una posata incidere leggermente delle righe incrociate.
Mettere in forno già caldo a180° per 20-25' senza perderla di vista.

Penso che il dolce che Pelle d'Asino (Perrault) prepara per il suo principe sia praticamente la stessa cosa. L'autore lo chiama una volta ''gateau'', un'altra ''galette''. Pelle d'asino impasta velocemente fior di farina, sale, burro e uova fresche. Solo lo zucchero non viene nominato, ma la parola ''gateau'' si riferisce normalmente ad un dolce.

Per queste poche ricette ho cercato di usare un minimo di rispetto filologico. Sarebbe gradito se a qualcuno venissero in mente altre fiabe legate al cibo da cui poter trarre ricette, e me le segnalasse.


FINE


Altri post che trattano argomenti collaterali: